La colpa dei rincari del carburante è per la gran parte del Fisco

Il 55% del costo della benzina sono tasse che vanno allo Stato – E sono tra le più care al mondo

Alla pompa stamattina si vedevano fino a 2,30 euro per un litro di super. Non è solo colpa della guerra in Ucraina; anzi, è bene non scordare che questi prezzi hanno nel fisco italiano il principale colpevole. Infatti, lunedì 7 marzo la rilevazione  del ministero della Transizione indicava che la benzina costava in media 1,95 euro al litro di cui 1,08 euro di costo fiscale e 87 centesimi di prezzo industriale. Il gasolio 1,82 al litro di cui 94 centesimi di fisco e 88 centesimi di prezzo industriale. Quindi sono le tasse tra le più alte al mondo a portare la benzina e il gasolio a prezzi stellari. Anche perché, se eliminiamo le tasse, il costo dei carburanti italiani è più basso della media europea. Da noi, percentualmente,  la quota che va al fisco è del 55% del costo della benzina e il 51% del costo  del gasolio; questo significa, in centesimi, che lunedì 7 marzo sulla benzina l’accisa era pari a 72,8 centesimi e l’Iva a 35,2 centesimi

Ripercorrere le singole voci che portano, per la benzina, ad una tassazione di 1,08 euro al litro significa fare un tuffo carpiato triplo nella storia del nostro paese le cui vicissitudini, dalle guerre ai terremoti, hanno portato a decine di aumenti. Possiamo fissare la data di partenza del nostro viaggio al 1935 quando Benito Mussolini decise di usare le tasse sulla benzina per finanziare la guerra d’Abissinia e creare il nostro surreale “impero”. All’epoca si trattò di un rincaro di 1 lira e 90 centesimi, che tradotto in valuta odierna sarebbero stati circa 2,20 euro euro di oggi. Naturalmente, il parco auto di allora era ridicolo rispetto a quello odierno e solo la quota più ricca della popolazione aveva una vettura e quindi la tassa fini per colpire essenzialmente li cittadini più benestanti.

Ma in un Paese in cui la fantasia fiscale di certo non manca si è finito per creare delle «una tantum» che sono diventate per sempre. Dal dopoguerra in avanti, questo l’elenco delle accise: finanziamento della crisi di Suez (1956) – 0,00723 euro;  ricostruzione post disastro del Vajont (1963) – 0,00516 euro;  ricostruzione post alluvione di Firenze (1966) – 0,00516 euro;  ricostruzione post terremoto del Belice (1968) – 0,00516 euro;  ricostruzione post terremoto del Friuli (1976) – 0,00511 euro;  ricostruzione post terremoto dell’Irpinia (1980) – 0,0387 euro;  finanziamento missione ONU in Libano (1982 – 1983) – 0,106 euro; finanziamento missione ONU in Bosnia (1996) – 0,0114 euro;  rinnovo contratto autoferrotranvieri (2004) – 0,020 euro; acquisto autobus ecologici (2005) – 0,005 euro; ricostruzione post terremoto de L’Aquila (2009) – 0,0051 euro; finanziamento alla cultura (2011) – 0,0071; finanziamento crisi migratoria libica (2011) – 0,040 euro;  ricostruzione per alluvione che ha colpito Toscana e Liguria (2011) – 0,0089 euro;  finanziamento decreto “Salva Italia” (2011) – 0,082 euro;  finanziamento per ricostruzione post terremoto dell’Emilia (2012) – 0,024 euro; finanziamento del “Bonus gestori” (2014) – 0,005 euro;  finanziamento del “Decreto fare” (2014) – 0,0024.

Come si può vedere Il ricorso a questo strumento è aumentato nel corso degli anni: in quarant’anni – tra il 1956 e il 1996 – sono state introdotte otto accise e le altre dieci in soli dieci anni, tra il 2004 e il 2014. Sono quindi 18 le accise sui carburanti che però nel 1995 sono state inglobate in un’unica imposta indifferenziata che finanzia il bilancio statale nel suo complesso (quasi 24 miliardi di euro nel 2021), senza più alcun riferimento alle motivazioni originali. Che, in ogni caso, sono ancora alla base dell’imposta e la compongono.

A tutto questo va aggiunta l’Iva, un altro bel 22%, che potrebbe essere fissata in quota fissa e non percentuale in maniera da ridurre la corsa del prezzo.