
Un esempio dimostra che i ristori messi in campo ieri non eviteranno il fallimento di migliaia di imprese
Dai Comuni alle Regioni, e ora anche dal Governo, non passa giorno che non si annuncino manovre in aiuto delle imprese e dei lavoratori autonomi e delle imprese. Un mare di chiacchiere basate su complessi esercizi tesi a rappresentare sostanziosi aiuti che di fatto sono inesistenti; e mai, stranamente, si prendono in esame dettagliatamente e analiticamente le modalità con le quali si potrebbe sollevare la categoria dei lavoratori autonomi che, in assenza di aiuti, finirà per dimezzarsi.
Si è partiti oltre un anno fa obbligando chiusure e ristorando solo talune imprese secondo logiche incoerenti quali i ristori con i codici Ateco, ma allora era colpa del presidente del Consiglio Giuseppe Conte; poi si sono fatte – figlie della propaganda – moratorie bancarie all’apparenza per salvare gli imprenditori ma in realtà per salvaguardare l’integrità e l’esigibilità dei crediti, non certo per aiutare gli imprenditori e gli autonomi.
Ora, dopo mesi di attesa e con l’arrivo di Mario Draghi, erano tutti certi sarebbe finita la pagliacciata e da un economista di rilievo, quale Draghi è, sarebbero arrivati ristori per aiutare le imprese. E invece la montagna ha partorito solo un topolino e i prossimi mesi saranno fatali per non poche imprese.
Ma entriamo nel merito e vediamo una case history
Una sartoria fondata 100 anni lavora al 50% per il mondo dello spettacolo e, anche a causa del blocco dell’attività culturale, ha visto ridursi in maniera sostanziale il suo business. Così, a seguito del covid-19, la sartoria nel 2020 ha visto il proprio fatturato crollare da 2,5 a 1,6 milioni di euro perdendo 900.000 euro di ricavi, 75.000 euro al mese in meno rispetto al 2019, con un calo del 36%. L’organizzazione dell’azienda e le dimensioni non permettono di bloccare tutti i costi connessi al calo delle commesse teatrali, in quanto la specifica area di affari è trasversale a tutte le funzioni e settori aziendali. L’azienda si trova davanti a due soluzioni: o compiere una totale ristrutturazione che non le consentirà più per ragioni organizzative e dimensionali di operare in detto comparto al termine del lockdown, in quanto cambierà sede scegliendone una più piccola, licenzierà dei profili professionali, interromperà delle consulenze, ridurrà e sostituirà fornitori, insomma porrà in essere una vero ridimensionamento di fatto si dimezzerà e non riuscirà più a ricrescere se non in molti anni di duro lavoro e nuovi investimenti, oppure, seconda ipotesi, forte della cassa integrazione per il personale e della finanza di Stato, tenterà di proseguire in attesa del termine della pandemia anche contando su un aiuto sulle perdite, come per altro fatto intendere da inizio pandemia da tutte le istituzioni. L’impresa sceglie la seconda via, nel 2020 perde 200.000 euro e il decreto sostegni di Draghi le riconosce un ristoro di 22.500; i rimanenti 177.500 euro di perdita sull’esercizio 2020 saranno un solo problema dell’ impresa che si aggiungeranno alla perdita 2021!
Non vi è altro da aggiungere se non che metà almeno delle imprese italiane fallirà con il forte rischio di disordini sociali.