Intervista direttore generale ass. artigiani Confartigianato De Lotto

Tra gli sponsor della seconda edizione del Festival della letteratura recitata figura quest’anno, assieme alla Camera di Commercio, la Confartigianato di Rovigo per volontà del presidente Marco Marcello e del direttore Antonello Sartori.
In un momento di così grave crisi economica un’associazione del fare per eccellenza come è la Confartigianato scende in campo a sostegno di un evento culturale, importante, ma che per molti potrebbe costituire un palliativo alle urgenti risposte di cui ha bisogno l’economia italiana e veneta. Chiediamo al direttore generale Pietro Francesco De Lotto, già docente universitario e ospite del festival nella tavola rotonda sull’economia cosa ne pensa.
Perché la Confartigianato ha scelto di sostenere un festival della letteratura Recitata?
Sostenere tutto ciò che ha a che fare con la crescita della persona è un obbligo che l’associazione ha deciso di riconoscersi. La crescita e la formazione non sono soltanto fatti tecnici, occorre ritornare pienamente in possesso del saper pensare, prima di agire. Bisogna ripartire dallo studio, proprio come si faceva nelle botteghe di Donatello dove si coniugavano con pazienza e competenza memoria, conoscenza e tradizione. Se questo è vero il Veneto si trova ad una svolta epocale e può, ripensando ad un nuovo paradigma economico e sociale, dare il via ad un rinascimento economico che implica tutti gli aspetti dell’essere, del produrre e del conoscere. Il vero capitale è quello umano.
Come giudica lo sviluppo che il mitico Nord est ha registrato fino a qualche anno fa.
Innanzitutto occorre distinguere tra crescita e sviluppo. Lo sviluppo degli ultimi decenni non ha rappresentato una vera crescita poiché si è concentrato sulla risoluzione di problemi primari quali la realizzazione di alloggi, di vie di comunicazione, di centri commerciali ovvero sull’utilità strumentale e non sulla crescita che è anche valoriale. Si è sventrato spesso un territorio senza badare all’etica e all’estetica. Si è tralasciata per troppo tempo la cultura di noi stessi e questo ha portato ad una inevitabile perdita di conoscenza e di etica nelle relazioni tra persone e nei rapporti economici.
Lei ha parlato di un rinascimento valoriale ed economico, non Le sembra un termine troppo pomposo?
Può darsi ma definisce con chiarezza ciò che intendo. Occorre recuperare rapporti etici tra realtà imprenditoriali e territorio, tra politica e realtà produttive, tra datori di lavoro e dipendenti perché la realtà aziendale e produttiva è parte stessa della società. Nel Veneto il rapporto tra persone e imprese è di uno a dieci, in taluni territori di uno a sette. Ora se esiste un’impresa ogni sette o dieci persone questo la dice lunga sul fatto che l’impresa sia la società stessa o comunque ne costituisca un pilastro fondante. Ecco perché quando chiude un’azienda è il suo ruolo sociale a morire e l’intera società ne risente. L’impresa ha un ruolo collettivo e lo deve giocare da attore protagonista non da comparsa. Occorre accompagnare i giovani alla riscoperta della voglia di fare impresa. L’inoccupazione attuale di molti giovani è un dato allarmante perché dà origine a devianze distruttive.
Il tema del festival propone il rapporto tra padri e figli, Lei come lo vede nella dimensione del fare impresa?
Come un valore da salvaguardare in ogni caso ma, a livello imprenditoriale ed economico, credo siano stati commessi molti errori. Dai padri è sempre stato richiesto ai figli di seguire le proprie orme soprattutto se titolari di un’impresa familiare. Spesso questo non ha rispettato le inclinazioni naturali e i desideri dei figli che hanno condotto in breve tempo l’azienda alla chiusura o alla vendita a terzi. Io propongo le figliolanze adottive. Se nell’impresa i figli non desiderano lavorare, il padre deve saper andare oltre e scegliere tra i suoi dipendenti e collaboratori qualcuno che sappia con passione portare avanti il destino dell’impresa.