
Nella ristorazione il traffico di certificati e abilitazioni falsificati
Centinaia di comuni sono stati truffati con certificati, abilitazioni professionali e libretti formativi falsi per aprire e/o gestire bar, ristoranti, pizzerie e persino parrucchieri, tutti esercizi per lo più facenti capo a cittadini extracomunitari.
A scoprirlo è stata la Guardia di Finanza di Padova con il supporto della Sala Situazioni, Analisi Investigative e Progetti Operativi del Comando Regionale Veneto. I numeri che emergono dall’indagine coordinata dalla Procura della Repubblica della città del Santo sono di tutto rilievo: 18 Regioni interessate, oltre 1.600 denunciati, più di 200 tra bar, ristoranti e pizzerie chiusi o in fase di chiusura, ulteriori 2.000 esercizi sotto la lente e 552 Comuni truffati.
I fatti: a luglio di quest’anno le Fiamme Gialle e l’A.G. patavina, portano a galla, con l’operazione “Testa di Serpente”, un giro di immigrazione clandestina e frodi fiscali gestite da professionisti veneti ed asiatici. Vengono arrestati 3 responsabili, tra cui il titolare di una società di servizi alle imprese. Scavando tra le carte e analizzando i pc sequestrati, i finanzieri trovano innumerevoli falsità documentali tra cui centinaia di REC e libretti formativi. Di che si tratta e chi ne beneficia? Semplice, REC (Registro Esercenti il Commercio) e libretti sono necessari se si vuol iniziare e/o gestire un’attività di somministrazione pasti e bevande.
I primi andrebbero conseguiti al termine di corsi professionali di 120 ore ma, per un extracomunitario che ha problemi di lingua o per un italiano che non vuole perdere tempo, la soluzione è pronta. Come? Pagando, in contanti, una somma fino ai 1.800 euro. I risultati dell’indagine, col passare delle settimane, assumono proporzioni sempre più vaste. Comincia ad emergere che il fenomeno illecito è diffuso su tutto il territorio nazionale. Seguendo le tracce investigative si arriva, per il momento, in alcune province del centro Italia dove si accerta che i falsi certificati non sono più tali sotto l’aspetto materiale, ma ideologico. In altri termini, la scuola abilitata al loro rilascio (su moduli originali), li consegna ad aspiranti gestori di locali che, anziché frequentare le lezioni per due mesi, arrivano in giornata da tutta Italia, firmano registri presenze falsificati, sostengono esami finali conoscendo già tutte le risposte e se ne tornano a casa “diplomati”. A canalizzare il flusso di aspiranti baristi, ristoratori, etc verso le centrali del falso erano 5 studi commercialistici (3 a Padova, 1 a Verona e 1 a Vicenza) e numerosi veri e propri “caporali”, per lo più asiatici, incaricati di raccogliere le adesioni all’illecito commercio di attestati, organizzare le trasferte, cercare nuovi clienti.
Una situazione, che ha portato e porterà ad abbassare centinaia di serrande di esercizi commerciali e denunciare migliaia di responsabili all’Autorità Giudiziaria. I reati contestati vanno dal favoreggiamento dell’illecita permanenza sul territorio nazionale (il REC serve per lavorare e, quindi, per disporre di uno dei requisiti essenziali ad ottenere il permesso di soggiorno), al lavoro nero, alle frodi fiscali, ai delitti contro la Fede Pubblica, per non parlare della truffa ai danni dei Comuni.
Allo stato sono 552 le amministrazioni locali frodate, di cui 216 nel solo Veneto. Colpiti – di riflesso – migliaia di commercianti onesti, a danno dei quali il sistema fraudolento “diffondeva” nel circuito economico, alla stregua di un virus, migliaia di concorrenti abusivi. Ad essere contaminato, oltre al segmento della ristorazione, anche il mondo dei parrucchieri, con una novantina di acconciatori, per lo più asiatici, sotto la lente d’ingrandimento dell’indagine. Anche in questo caso, fatta la legge, trovato l’inganno. Per 4 esercizi commerciali è stata già accertata la falsità degli “attestati di qualificazione”. Di più, dietro ai canali di finanziamento utilizzati per l’apertura di alcuni bar, c’era il responsabile di una società operante nel settore del noleggio di apparecchi elettronici da intrattenimento che a fronte dei “prestiti” richiedeva ai clienti, quasi tutti di etnia cinese, di installare e far utilizzare, all’interno dei locali, i propri videogiochi, oltre, chiaramente, alla restituzione del prestito. Proficua, si è rivelata, nel corso dell’operazione coordinata dalla Procura di Padova, la collaborazione tra Guardia di Finanza, Regione Veneto, Polizie Provinciali e Locali.
Una sintonia che, ad esempio, nella sola Padova e provincia, ha portato ad abbassare le saracinesche a 18 esercizi commerciali, nonché ad irrogare, per ciascun documento falso, la sanzione amministrativa di cui all’art.17 bis co.1 del RD 773 del 1931 di una somma da € 516,00 a € 3.098,00, soldi che sono entrati ed entreranno nelle casse comunali.